Contrattazione

Studio Confcommercio: due milioni di giovani fuori da studio e lavoro, il triplo della Germania

di Cristina Casadei

«C’è la transizione digitale e c’è la transizione ecologica che sono in cima a tutte le agende. E poi c’è anche la transizione generazionale e demografica, di cui però non si parla quasi più. I dati ci dicono però che dobbiamo urgentemente riportare in cima all’agenda il tema dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano e non si sa cosa facciano. Soprattutto perché la demografia è come una grande nave traghetto, quindi bisogna girare adesso per fare la curva tra 2 miglia». Il direttore del centro studi di Confcommercio Mariano Bella ci trasferisce questa riflessione per leggere lo studio intitolato “Le giovani generazioni in Italia dopo la pandemia”, dove ha messo a confronto i dati internazionali su Neet, demografia, emigrazione, mercato del lavoro, redditi, pensioni da cui emerge lo spaccato di un paese «dove non si fa che parlare di pensioni e anziani». Solo un dato dello studio per capire meglio: la spesa per il welfare assorbe oggi circa il 56% dell’intera spesa pubblica a dimostrazione di un sistema particolarmente sbilanciato sulle fasce di età più anziane. «Ma andando avanti così cosa accadrà tra 20 anni, quando avremo un’intera fascia di età persa? È su questa prospettiva che dobbiamo ragionare», osserva Bella.

Vediamo allora i numeri. Nel periodo che va dal 2006 fino al 2019, quindi fino all’inizio della pandemia, tra i tanti, ci sono due record che i giovani italiani tra i 15 e i 29 anni hanno e che influenzeranno il futuro del paese. Il primo è il primato dei Neet italiani che sono circa il 23% degli oltre 8 milioni dell’eurozona, «il doppio del dato medio dell’eurozona, il triplo della Germania e il quadruplo dell’Olanda, dove, peraltro, il trend è in discesa. L’Italia è l’unico paese in Europa che trascura i giovani», spiega Bella. Il secondo record negativo è invece rappresentato dal fatto che l’incidenza dei Neet nella popolazione tra i 15 e i 29 anni è del 22% ed è in crescita di 3 punti rispetto al 2006.

Non si aprono spiragli positivi nemmeno se andiamo a vedere il dato delle imprese giovanili, create da under 35. Ancora una volta, l’ufficio studi di Confcommercio registra un forte calo: sono infatti passate dalle 697.426 del 2011, quando l’incidenza sul totale era dell’11,4%, alle 541.159 del 2020, con un’incidenza sul totale pari all’8,9%. A questo proposito il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, dice che «il sostegno alle imprese giovanili rende più robusta, diffusa e duratura la crescita economica. Per questo è fondamentale utilizzare al meglio le risorse del Pnrr destinate ai giovani, soprattutto per formazione, incentivi e semplificazione burocratica».

Una delle questioni più importanti che è emersa negli ultimi vent’anni sulle difficoltà dei giovani di inserirsi nel mondo del lavoro, è quella della retribuzione e del reddito d’ingresso. Gli ultimi dati Eurostat, segnalano un livello di retribuzione lorda oraria di 15,6 euro in Italia, rispetto ai 18 della Francia, ai 19,7 della Germania, agli oltre 20 di Belgio, Irlanda, Finlandia e Svezia, ma soprattutto ai circa 30 della Danimarca. «Eventuali differenze nel costo medio della vita tra i diversi Paesi non possono spiegare completamente questi divari - interpreta Bella -. Il reddito di ingresso di un lavoratore dipendente tra il 1977 e il 2016 è crollato del 30%. Così abbiamo il fenomeno dei giovani che un tempo andavano dal sud al nord e adesso vanno dal sud all’estero e dal nord all’estero: in 10 anni ne sono emigrati 345mila. Il nostro è un paese che disperde le competenze dei giovani che sono il nostro futuro». Il patto generazionale, però, avverte Bella si sta spezzando ed «è anche di questo che dobbiamo preoccuparci - conclude - quando parliamo di transizione digitale e green».

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