Contrattazione

Il fisso non fa più la differenza, ferie e tempo i nuovi benefit

di Cristina Casadei

«Ma c’è l’auto aziendale?» è una domanda che nei colloqui di lavoro sta lasciando il passo a un’altra: «Ma c’è lo smart working?». C’è stata una lunga fase in cui le politiche retributive le faceva in gran parte una bella macchina che, un po’ come i metri quadrati dell’ufficio o la pianta, spesso segnava anche un avanzamento nella scala gerarchica. «Non si può più dare per scontato che l’auto aziendale sia un benefit che tutti indistintamente apprezzano. Non è più così vero per molte ragioni, tra cui il fatto che c’è un tema di sostenibilità ambientale e di diversa mobilità», spiega Mariagrazia Galliani, mobility & data practice leader di Mercer che, nell’ultimo Osservatorio sul capitale umano, ha sondato 573 aziende medio grandi sulle loro politiche retributive e sulle intenzioni di assumere. Alla fase dell’auto aziendale se ne sta sostituendo una in cui i benefit più importanti sono il tempo e la flessibilità, in una duplice declinazione: lo smart working e le ferie. Le aziende medio grandi lo vedono sia quando devono trattenere le persone in fuga, sia quando devono assumere.

Il fisso resta fisso

I budget per l’aumento della parte fissa dello stipendio sono sempre più ristretti e nelle aziende intervistate sono passati dal 2,5% sulla Ral complessiva del 2020 al 2,3% di quest’anno. La variazione dei fissi nel 2021 rispetto al 2020, a parità di inquadramento, è stata in media dell’1,3%: 1,8% per impiegati e quadri e circa 1% per i dirigenti. Un dato ben al di sotto dell’inflazione. I lavoratori che hanno ricevuto un aumento di merito sono ugualmente in calo e sono passati dal 40% del 2020 al 35% di quest’anno, con un trend diverso per dirigenti, in calo, e impiegati, in aumento. «C’è una minore attenzione al fisso, con gli aumenti che vengono dati in maniera davvero molto selettiva - interpreta Luca Baroldi, co-lead dell’area career di Mercer -. Il budget si è ridotto e si è ridotta anche la percentuale di percettori di aumenti di merito. Questo avviene a favore delle componenti variabili e dell’ampliamento dell’offerta a dimensioni non puramente cash. La retribuzione fissa è diventato uno degli elementi delle politiche retributive su cui si lavora sempre meno».

La proposta di valore

«L’attrattività si fa infatti su value proposition molto ampie che raccontano la proposta di valore che l’azienda è in grado di dare non solo dal punto di vista del pacchetto retributivo, ma anche della flessibilità. E del percorso professionale. Se escludiamo la ristretta fascia degli executive, dove la parte economica ha ancora un peso fondamentale, scendendo nella piramide organizzativa, accanto a quelli tradizionali, i benefit del futuro sono flessibilità, inclusione ed impegno sociale», dice Baroldi. E prende via via forme diverse, dallo smart working - oggi utilizzato con formule diverse da oltre 4 milioni di persone, secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio del Polimi - alle ferie aggiuntive. C’è infatti un deciso aumento della percentuale di aziende che offre giornate da dedicare al tempo libero o impegni familiari, a riprova che il fattore «tempo» è ormai divenuto una variabile di scambio sul mercato del lavoro. Così, se nel 2018 le aziende disposte ad aggiungere giorni di riposo rispetto al contratto di lavoro erano l’8%, adesso sono diventate il 17%. Siamo di fronte a «un mercato del lavoro dove non sono solo le imprese a poter dire ai candidati di avere la fila di fuori - osserva Galliani -. La selezione sono anche i lavoratori a farla, soprattutto nel caso dei tech workers, ossia professionisti con competenze meno diffuse, come quelle legate a cyber security, digital e data analytics».

Più incentivi per obiettivi

La tendenza ad attrarre giovani talenti si sposa con la volontà delle aziende di investire in chi già è nell’organizzazione, soprattutto le fasce più “basse”: neolaureati, impiegati e quadri. A livello di short term incentives, i premi cioè riconosciuti annualmente ai lavoratori in base alle performance, «notiamo che, se da una parte il top management è sempre più sfidato su obiettivi competitivi e viene premiato di più in caso di prestazioni eccezionali, - dice Baroldi -, dall’altra il management by objectives viene esteso a quadri e impiegati: un fenomeno che nasce forse da un ripensamento delle politiche di performance post pandemia e dalla volontà/necessità di trattenere e attrarre figure professional il cui mercato del lavoro è molto dinamico». A livello di premi riconosciuti sul lungo termine, invece, cresce la percentuale di aziende che ne offrono: oggi sono il 54%, in crescita di 14 punti rispetto al 40% nel 2018, con una diffusione più ampia anche tra dirigenti, quadri e figure chiave.

I flexible benefit

Se guardiamo oltre ai premi e ai salari, vengono ripensate nuove “forme di remunerazione” in una logica di flessibilità e maggiore rispondenza alle esigenze dei dipendenti: oltre un terzo del campione sondato da Mercer prevede sistemi di flexible benefits e un altro 10% prevede di offrirli nel 2022. Sempre maggiore il focus su pensione, supporto alla persona e alla famiglia, dalla scuola allo sport, ai trasporti, all’assistenza medica. A ciò si aggiunge che circa il 20% delle aziende contribuisce in buona parte alle spese per la scuola materna e per i campi estivi oppure prevede un asilo aziendale interno. Il 15% offre borse di studio ai figli dei dipendenti, mentre il 40% delle aziende paga, sostenendo quasi interamente il costo, corsi di formazione e di studi ai lavoratori. In parallelo, anche sulla scia dei recenti interventi normativi, sono sempre di più le aziende che lavorano sull’equità retributiva tra uomini e donne: il gender pay gap calcolato a parità di responsabilità, equal pay for equal job, nel 2021 si è parzialmente ridotto del 3,2% rispetto al 2018, ma risulta stabile rispetto al 2020. La criticità c’è, sia nell’identificare il gap salariale che nell’attuare misure.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©