Contrattazione

Aran: «Nei contratti la riforma della Pa. A inizio 2022 ok a sanità ed enti locali»

Parla il presidente dell’Aran, Antonio Naddeo: «Il Patto sul lavoro pubblico ha dato un ruolo inedito agli accordi nazionali. Cruciali anche gli integrativi, ai dirigenti serve più coraggio nelle valutazioni»

di Gianni Trovati

«Il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico firmato a Palazzo Chigi a marzo ha attribuito un ruolo forte alla contrattazione, e questo ha responsabilizzato anche i sindacati. Il disegno è di dare ai contratti il compito di regolare il rapporto di lavoro oltre al trattamento economico. Una sorta di riforma della Pa che passa dai contratti, e forse ha più chance di attuazione rispetto a leggi calate dall’alto». Per Antonio Naddeo, il presidente dell’Aran, quella che si è appena chiusa è stata una settimana ricca. Martedì è arrivata la pre-intesa sul contratto delle Funzioni centrali e giovedì si è chiuso l’accordo sul comparto sicurezza. «A inizio 2022 arriverà l’intesa anche su sanità ed enti locali - aggiunge Naddeo, che ha accettato di fare il punto in questo colloquio con Il Sole 24 Ore -; uno dei due lo chiuderemo sicuramente a gennaio, anzi io spero entrambi».

Sulle Funzioni centrali il negoziato ha riguardato un ventaglio amplissimo di temi. Quali punti qualificanti hanno permesso di arrivare all’accordo?

Un’intesa è sempre frutto di una mediazione, che comporta di rivedere le posizioni iniziali. Noi abbiamo tenuto fermo un punto fondamentale stabilito dalla legge, che impedisce di attribuire alla contrattazione materie relative all’organizzazione del lavoro. Ma abbiamo aperto sui differenziali stipendiali, che avevamo legato solo alla valutazione individuale, inserendo fra i parametri l’esperienza professionale e dando un ruolo agli integrativi.

I «no» sindacali alla valutazione individuale nascono dalla sfiducia nella dirigenza. Ma anche ai dirigenti non fa comodo avere criteri prefissati per evitare problemi?

Assolutamente sì. I sindacati non si fidano dei dirigenti, ma spesso anche i dirigenti non vogliono conflitti. Con una valutazione uguale per tutti, però, si evita qualche ricorso, ma si alimenta il malcontento dei dipendenti migliori. Il sistema funziona se il dirigente si impegna nella valutazione anche perché viene valutato a sua volta. In altre parole, se la valutazione coinvolge davvero tutti, dall’alto in basso.

In quest’ottica non è il massimo inserire fra i criteri l’«esperienza professionale», cioè l’anzianità.

L’esperienza è anche l’anzianità, ma non solo. Bisogna considerare che il contratto dà all’amministrazione degli strumenti. Spetta poi agli enti utilizzarli al meglio.

E la possibilità data ai dipendenti fino al 2024 di diventare assistenti o funzionari senza il diploma o la laurea chiesta ai nuovi assunti non apre a una tornata di promozioni?

No. Bisogna prima di tutto considerare che veniamo da un lunghissimo periodo di congelamento delle progressioni. Questo ha creato molti problemi, riassunti in quello che i sindacati chiamano «mansionismo», cioè la pratica di attribuire mansioni superiori a quelle previste dall’inquadramento. Comunque per attuare le progressioni ci sono delle condizioni, dettate anche dalle risorse messe a disposizione per la riforma degli ordinamenti.

Invece la creazione di un’area delle «elevate professionalità» vuota, da riempire con il reclutamento dei nuovi tecnici, non è demotivante per chi nella Pa già lavora? Non è come dire «l’eccellenza che ci serve non siete voi»?

Non è esattamente così. Nel contratto c’è una norma di prima applicazione che esclude dalle progressioni verticali questa quarta area, finanziata con le facoltà assunzionali. Ma nulla vieta che fra un anno le amministrazioni, stabilito il numero di «elevate professionalità» di cui hanno bisogno, decidano di aprire il 50% delle posizioni alle selezioni per i loro funzionari. Del resto si è data a quest’area un valore economico importante, con una retribuzione fino a 70mila euro. L’alternativa, a parità di risorse, sarebbe stata quella di aprire a promozioni generalizzate che avrebbero però ricevuto pochi euro a testa.

Non proprio il massimo, anche in termini organizzativi.

Appunto. Il ministro Brunetta ha scelto di dare al contratto un ruolo inedito nell’innovazione della Pa, che non va sprecato. Anche sull’integrativo, bisogna comprendere che non è un adempimento per rispondere a richieste sindacali, ma può essere per le amministrazioni uno strumento di gestione del personale con incentivi e risorse.

Che tempi prevede per sanità ed enti locali?

Anche lì il tema è l’ordinamento professionale, che nei contratti è un po’ come la cima Coppi al Giro d’Italia. Superata quella, è tutta discesa. Bisogna capire come adeguare i nuovi ordinamenti a comparti che divisi in quattro livelli. Ma ci stiamo lavorando. E a gennaio chiuderemo sicuramente uno dei due comparti, se non entrambi.

E i dirigenti?

Giovedì prossimo ci sarà l’intesa quadro sulle aree. Poi andremo avanti con tavoli contemporanei per più aree, come fatto per il personale.

Resta il grande assente: la presidenza del consiglio.

Lì è bloccato il contratto 2016/18 perché alcuni sindacati hanno deciso di non firmare. Abbiamo raggiunto il 50,2% di adesioni ma la legge chiede il 51%. La mia porta è sempre aperta. Ma solo per la firma. Non per riaprire un negoziato che non ha più margini.

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