Contrattazione

Gli scambi boomerang e l’incubo inflazione

di Alberto Orioli

C’è solo più inflazione dietro a uno scambio improvvisato tra incentivi alle imprese e aumenti salariali non meglio precisati. Ci sono gli anni 70 e l’incubo della spirale prezzi-salari-prezzi in un momento in cui l’inflazione alza di nuovo la testa. E non è l’inflazione “buona” che accompagna il surriscaldamento della domanda, naturale conseguenza di una ripartenza dell’economia. È il carovita indotto dalla strozzatura dell’offerta, già creato dalle speculazioni sui prezzi delle materie prime, gas in testa, e dal blocco della logistica, conseguenza della pandemia non ancora smaltita, aggravata dalla situazione di conflitto con impatti globali. È l’inflazione importata, quella che già negli anni 70 faceva strage delle dinamiche reali delle retribuzioni e dei profitti.

I contratti hanno creato gli anticorpi negoziali per evitare di far pesare la componente dell’energia in modo anomalo e ingestibile. E hanno congegnato un sistema di ancoraggio anticipato ai tassi di inflazione espressa con l’indicatore europeo Ipca (Indice dei prezzi al consumo armonizzato) che ha consentito di perfezionare le teorie di Ezio Tarantelli e di superare il sistema di adeguamento automatico _ la cosiddetta scala mobile che tanti guasti aveva creato alimentando la famigerata spirale.

E la più parte dei nuovi contratti è stata rinnovata, nel settore dell’industria, con risultati soddisfacenti per imprese e sindacati. Restano i servizi. Ma soprattutto resta quella quota grigia di contratti pirata che ha scommesso su un dumping salariale che, di norma, crea problemi di competitività proprio alle imprese fedeli alle regole del gioco. È un sottobosco contrattuale cresciuto negli anni soprattutto nei servizi su cui adesso l’incremento dei prezzi legato alla congiuntura pesa in modo maggiore.

Il vero scambio possibile, in una riedizione della politica dei redditi in tempo di post pandemia e di guerra alle porte dell’Europa, è quello che riesca a trasformare una parte della tassazione in salario netto in busta paga. Il cosiddetto cuneo fiscale, di cui la riforma Irpef a quattro aliquote ancora non si è occupata.

Sarebbe un’operazione senza impatto inflattivo così come lo sarebbe l’altro scambio virtuoso tra aumenti salariali e produttività. Su questo le parti sociali hanno creato cornici regolamentari di relazioni industriali fin dal ’93, ma non sono mai riuscite a far attecchire in modo massiccio sperimentazioni salariali su nuovi indicatori di performance aziendale soprattutto negli accordi di secondo livello da gestire in azienda.

È questo il vero campo da gioco di un nuovo patto sociale. Altre formule, tanto primitive quanto dannose, hanno un solo esito: creare una sorta di scala mobile sgangherata con aumenti nominali che l’inflazione puntualmente annulla. Il modo più perverso di dare spazio a quella che, storicamente, è da sempre un’ulteriore tassa sui più deboli.

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