Contrattazione

Agenzie e Linkedin, qui i giovani cercano lavoro

di Cristina Casadei

C’era una volta il passaparola. C’era e c’è ancora, ma non nella stessa misura in cui siamo stati abituati a viverlo in passato, quando era la principale modalità per cercare lavoro. Le reti di amici, familiari, colleghi sono stati snodi fondamentali per molti milioni di lavoratori. Lo sono ancora, ma tra le tante discontinuità di questi ultimi anni c’è anche quella che fa svettare le agenzie per il lavoro nell’incrocio tra domanda e offerta e fa scendere il passaparola al terzo posto, in un paese dove è sempre stato dominante.

Agenzie al primo posto

Lasciando parlare gli addetti ai lavori sul campo, sembrerebbe che il disallineamento tra domanda e offerta di profili e la voglia di cambiare lavoro delle persone abbia generato una crescente professionalizzazione del mercato. Anche per fare fronte a tempi di ricerca che, in questa situazione, si allungherebbero troppo, sia per le aziende che per i candidati. A dirlo sono le voci dell’Employer Brand Research di Randstad, la ricerca annuale che quest’anno, in Italia, è stata condotta tra 6.590 persone sull’attrattività di 150 potenziali datori di lavoro (a livello globale, in 31 diversi paesi, con 163mila rispondenti e 5.944 aziende). Viene fuori infatti che i canali più utilizzati da chi cerca un nuovo lavoro sono diventate le Agenzie per il lavoro: per il primo anno svettano con il 26% delle preferenze (erano il 23% nel 2021), seguite da LinkedIn passato dal 20% del 2021 al 25% di quest’anno e dai contatti personali con il 24% (in calo dal 32%). Bisognerà aspettare ancora qualche rilevazione ma i segnali parlano di un cambiamento chiaro. A seguire ci sono i portali del lavoro come Indeed o Monster (20%), la ricerca su internet tramite Google (19%), Infojobs (18%), Subito.it (16%), i social media (16%). E infine i siti internet delle aziende (14%). I servizi pubblici per l’impiego, seppure in miglioramento, si fermano molto più in basso: quest’anno sono al decimo posto, al 9%, contro il 6% del precedente.

La mobilità professionale

Questo cambiamento nell’approccio alla ricerca del lavoro accade proprio quando sono molti i lavoratori che hanno in mente di cambiare lavoro. Per molteplici ragioni che non emergono così chiaramente nei numeri, frenati da un contesto dove la rigidità del mercato frena la mobilità professionale. Dai dati della ricerca di Randstad viene fuori che un lavoratore su dieci (11%) ha cambiato azienda nella seconda metà del 2021 e uno su quattro intende farlo entro i prossimi sei mesi. Nel primo caso si tratta, in particolare, di giovani sotto i 34 anni e con profili con alto livello di istruzione, nel secondo invece parliamo di una fascia anagrafica più ampia, under 55.

I datori di lavoro

«In un periodo di grande trasformazione del mondo del lavoro, tra ripresa post Covid e fenomeni di massa come quello della “great resignation”, i datori di lavoro devono valorizzare nell’offerta di employer branding un giusto “clima” di lavoro e attento worklife balance, senza dimenticare stipendi competitivi e opportunità di crescita e formazione», afferma Marco Ceresa, group ceo di Randstad. Nella percezione degli italiani, secondo quello che emerge anche dalla classifica dell’Employer branding di Randstad, sono queste le caratteristiche che hanno i datori di lavoro ideali grazie ai punteggi ottenuti nelle diverse dimensioni dell’indagine. Quelli che hanno ricevuto i maggiori consensi sono stati Ferrero, Thales Alenia Space e Automobili Lamborghini.

Equilibrio vita-lavoro

Entrando nel merito i fattori più importanti nella scelta del datore di lavoro per i lavoratori italiani intervistati sono l’atmosfera di lavoro piacevole e l’equilibrio tra lavoro e vita privata: entrambi sono stati identificati dal 65% dei lavoratori. A poca distanza seguono retribuzione e benefit (61%). Vengono poi la sicurezza del posto di lavoro (58%) e la visibilità del percorso di carriera (54%). Andando a vedere l’altro lato della medaglia, i datori di lavoro per andare incontro alle richieste dei lavoratori rispondono con un’offerta di modalità di lavoro flessibili nel 42% dei casi, con benefit aggiuntivi (34%) e con lo sviluppo di carriera (31%).

La centralità della formazione

A proposito di flessibilità in Italia il 37% dei lavoratori intervistati, attualmente, lavora da remoto: un dato in calo rispetto allo scorso anno, quanto era il 50%. Tra chi non lavora da remoto, c’è un 26% per cui è impossibile o non è consentito per il tipo di attività o mansione. Praticamente tutti quelli che lavorano da remoto credono che continueranno a farlo nei prossimi mesi, anche se non nella misura attuale. A proposito di formazione e sviluppo, invece, quasi due lavoratori italiani su tre (il 65%) ritengono che la crescita professionale sia molto importante. E ben l’80% considera fondamentale che il datore di lavoro offra possibilità di riqualificazione e miglioramento delle competenze. A sentire i lavoratori, però, meno della metà delle imprese (47%) offre sufficienti opportunità di formazione. Una conferma dell’importanza di reskilling-upskilling viene dal 72% di lavoratori italiani che rimarrebbe con il proprio datore di lavoro se gli fossero offerte opportunità di formazione.

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