Previdenza

Il rebus Quota 100 nel mirino di Bruxelles

di Davide Colombo Marco Rogari

Si avvicina a grandi passi. È lo scalone del dopo “Quota 100” sul quale rischia di inciampare il prossimo governo e che già si staglia all’orizzonte previdenziale, scrutato ieri dalla commissione tecnica del ministero del Lavoro nel tentativo di riaccendere i motori per individuare qualche via di aggiramento. Il count-down che indica l’inesorabile avvicinarsi della fine della sperimentazione triennale dei nuovi pensionamenti anticipati voluti dal “Conte 1” a tinte gialloverdi è di fatto già scattato. Ma, al di là delle promesse dell’attuale esecutivo dimissionario, il cantiere della nuova riforma è praticamente fermo da mesi. E, con il trascorrere del tempo, comincia a circolare con sempre più insistenza l’ipotesi di una mini-proroga, almeno fino ai primi mesi del 2022. Una soluzione che, a prescindere dalla volontà di una parte della maggioranza uscente (Pd e Iv in primis) di abbandonare l’attuale sistema di uscite con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi, rischierebbe però di complicare ulteriormente il già sofferto cammino del Recovery plan italiano. Anche perché la Commissione Ue, che ha nel mirino “Quota 100” fin dal suo concepimento così come lo stop fino al 2026 dell’adeguamento automatico all’aspettativa di vita dei trattamenti anticipati, considera di fatto il ritorno al solco della riforma Fornero come una delle condizioni implicite per gestire in autonomia i 209 miliardi di aiuti europei. Una condizione, quella della stabilizzazione della spesa previdenziale, che vale anche per altri Paesi. Non a caso la Spagna ha già tracciato il cammino per adeguarsi. In Germania, malgrado un quadro di finanza pubblica più che sotto controllo, gli interventi sulle pensioni sono diventati tema di dibattito. E anche Parigi ha messo in agenda nuove misure.

L’eventuale mini-proroga potrebbe dunque trasformarsi in una sorta di mina lungo la strada che porta alla completa utilizzazione della dote di risorse europee disponibile. Ma se anche il nuovo esecutivo dovesse decidere di valutare con attenzione questa opzione, ci sarebbe poi da fare i conti con il fattore tempo. Se infatti si optasse per una proroga, la soluzione migliore sotto il profilo operativo sarebbe di adottarla entro giugno. In questo modo si consentirebbe a diverse categorie, soprattutto del settore pubblico, di poter scegliere il pensionamento agevolato sulla base di requisiti che maturano da gennaio 2022 non all’ultimo minuto ma con un adeguato anticipo, tale da non mettere in difficoltà le amministrazioni di appartenenza (si pensi, in particolare, al comparto della scuola o a quello della sanità).

L’opzione di intervenire con la manovra di fine anno, viceversa, sarebbe più idonea per il varo di norme utili per regolare la “transizione”, magari pescando tra le ipotesi che avevano fatto capolino alcuni mesi fa al tavolo tra governo e sindacati. Come, ad esempio, un’uscita con 63 o 64 anni d’età (e 38 anni di contribuzione) da rendere eventualmente più soft (anche abbassando i requisiti) per alcune categorie di lavoratori impegnati in attività particolarmente gravose.

Il pressing politico a difesa di “Quota 100” è naturalmente altissimo, a partire dal leader della Lega, Matteo Salvini, che su questo fronte ha annunciato una attenzione massima. Dal punto di vista dei conti, invece, la strada per giustificare una eventuale proroga potrebbe rivelarsi semplice. Secondo stime dell’Osservatorio Previdenza - Fondazione Di Vittorio della Cgil, che Il Sole24Ore è in grado di anticipare, al 31 dicembre scorso le domande accolte di pensionamento con “Quota 100” si sono fermate a 267.802, a fronte di 359.946 inviate all’Inps (46.400 quelle già respinte). Siamo molto lontani dalle attese governative, che parlavano di 300mila pensionamenti annui per il triennio di sperimentazione. Ne conseguirebbero risparmi consistenti. Complessivamente nel triennio che si chiude il prossimo dicembre la maggior spesa previdenziale per ”Quota 100”, il blocco dell’adeguamento alla speranza di vita sugli anticipi e Opzione donna, si fermerebbe a 14 miliardi, contro i 21 preventivati, con un risparmio potenziale di 6,8 miliardi. I sindacati e diverse forze politiche si chiedono se Questa “dote” basterà a Bruxelles per chiudere un occhio.

Ieri intanto è uscito il Libro Verde della Commissione Ue sull’impatto dell’invecchiamento della popolazione. Se nei prossimi due decenni i Paesi europei vorranno mantenere sistemi pensionistici sostenibili - si legge - potrebbero dover estendere la vita lavorativa in media a 70 anni. Una quota che per l'Italia si alzerebbe a 71. Nel 2040 l’indice di dipendenza degli anziani in Ue, cioè il rapporto fra la popolazione anziana e quella in età lavorativa, rimarrebbe allo stesso livello del 2020 solo se la vita lavorativa fosse estesa all’età di 70 anni, osserva la Commissione. Le ultime proiezioni di Eurostat suggeriscono che a poter andare in pensione prima dei settant’anni sarebbero solo i lavoratori di Malta, Ungheria e Svezia, mentre in Lituania e Lussemburgo si raggiungerebbero i 72 anni. Per la Commissione i sistemi pensionistici reggerebbero l’urto del ritiro dei baby boomers solo allungano la vita lavorativa.

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