Previdenza

Quota 41 più costosa dell’anticipo contributivo, nel primo anno uno scarto di 3,9 miliardi

di Marco Rogari

Una spesa pensionistica cresciuta, in termini nominali, del 2,8% tra il 2000 e il 2020, anche se a un ritmo più lento a partire dal 2014. E un rapporto tra l’importo complessivo delle pensioni e il numero di occupati lievitato del 70% negli ultimi venti anni, voci assistenziali comprese. È in questo contesto che si colloca il dibattito sul dopo Quota 100, che è ormai prossima alla fine della sua sperimentazione triennale. E dalle simulazioni effettuate dagli esperti dell’Inps sulle opzioni attualmente in campo emerge che la cosiddetta Quota 41, cara a Lega e sindacati, sarebbe la più onerosa per le casse dello Stato: 4,3 miliardi il primo anno (per poi arrivare a 9,2 miliardi dopo dieci anni), con uno scarto di circa 3,9 miliardi rispetto ai 443 milioni della proposta Tridico (anticipo dalla sola quota contributiva dell’assegno al raggiungimento dei 63 anni d’età).

Il dibattito non è ancora sfociato in un vero confronto tra governo e parti sociali, reclamato a gran voce dai sindacati e nuovamente promesso ieri dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ma solo dopo che si sarà conclusa la partita sulla riforma degli ammortizzatori sociali. Anche se sul tavolo ci sono da mesi almeno tre ipotesi:
- la prima è, come detto, Quota 41 che, consentirebbe l’uscita al raggiungimento del quarantunesimo anno di contribuzione e senza vincoli anagrafici;
- la seconda prevede il pensionamento anticipato con 64 anni d’età e 36 di contribuzione e un assegno tutto “contributivo” o, in alternativa, con 64 anni d’età, 20 di contributi e un importo minimo del trattamento di almeno 2,8 volte l’assegno sociale (e sempre in configurazione contributiva);
- l’altra opzione è quella lanciata nelle scorse settimane dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, di un “anticipo” per la sola quota di pensione contributiva maturata al raggiungimento dei 63 anni di età (con almeno 20 anni di versamenti) e un importo minimo pari a 1,2 volte l’assegno sociale. Proprio quest’ultima proposta avrebbe l’impatto più soft sui conti(poco più di 2 miliardi al decimo anno).

Dai calcoli dell’Inps emerge che Quota 41 è l’opzione meno sostenibile (con un picco di costi pari allo 0,4% del Pil), mentre la seconda ipotesi (quella del calcolo contributivo con 64 anni di età e 36 di contributi) è considerata più equa in termini intergenerazionali e generatrice di risparmi già prima del 2035, ma nella fase di innesco farebbe lievitare la spesa di quasi 1,2 miliardi nel primo anno con una punta massima di 4,6 e 4,7 miliardi nel quinto e sesto anno.

Nella relazione annuale dell’Inps si sottolinea che, nel definire il post-Quota 100, si dovrà tenere conto del crescente livello di spesa pensionistica rispetto al Pil e si dovranno tutelare i lavoratori “fragili” e impegnati in attività gravose rafforzando strumenti esistenti come l’Ape sociale e in canali “specifici” per precoci e “usuranti”. Ma Tridico è tornato anche a sottolineare l’importanza di una distinzione delle voci assistenziali da quelle previdenziali: nella componente assistenziale della spesa sociale rientrerebbero anche prestazioni come il reddito e la pensione di cittadinanza e l’assegno sociale agli over 65.

Tridico fa poi notare l’ampia forbice tra l’importo dei trattamenti previdenziali degli uomini e quelli delle donne evidenziando, nel complesso, il permanere di una disuguaglianza pensionistica di genere. E, soffermandosi sulla brusca riduzione dell’aspettativa di vita causata dalla pandemia, considera prioritario anche un intervento sui “coefficienti di trasformazione”.

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