Previdenza

Reddito di cittadinanza, due terzi dei percettori non sono occupabili

di Claudio Tucci

La stragrande maggioranza dei percettori del reddito di cittadinanza (Rdc) è distante dal mercato del lavoro (e forse non immediatamente rioccupabile). Si tratta, ha reso noto ieri il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, illustrando il rapporto annuale sulle attività dell’Istituto, di due terzi dei 3,7 milioni di beneficiari che non risultano presenti negli archivi Inps degli estratti conto contributivi negli anni 2018 e 2019. Il restante terzo, che invece è presente, rivela in media un reddito pari al 12% delle retribuzioni annue medie dei lavoratori del settore privato, e solo il 20% ha lavorato per più di 3 mesi nel periodo precedente all’introduzione del sussidio.

Insomma, il Rdc sta svolgendo una funzione essenzialmente di «reddito minimo», come ha riconosciuto lo stesso Tridico, tra i padri della misura; e quasi per nulla di politica attiva. Il perché lo evidenzia l’identikit delle persone coinvolte, caratterizzate «da considerevole esclusione sociale». Un gran numero di percettori di reddito o pensione di cittadinanza infatti - con una erogazione media 552 euro per intero nucleo - è costituito da minori (1.350.000), disabili (450mila), persone con difficoltà fisiche o psichiche non percettori di pensioni di invalidità, oltre a circa 200mila percettori di pensione di cittadinanza. In altre parole sono platee che hanno un grado di prossimità al lavoro molto più ridotto rispetto agli altri percettori di sussidi (Naspi).

Il presidente Tridico ha stimato poi gli effetti del blocco generalizzato dei licenziamenti, che in Italia è arrivato da febbraio 2020. Ebbene, nel periodo marzo 2020-febbraio 2021, secondo il numero dell’Inps, i posti di lavoro preservati «possono essere valutati in circa 330mila e per oltre due terzi riconducibili alle piccole imprese (fino a 15 dipendenti)».

Del resto, le misure emergenziali messe in campo dai governi, Conte prima e Draghi ora, sono state notevoli: dall’inizio della pandemia ad oggi l’Istituto ha speso 44,5 miliardi di euro in misure di sostegno al reddito che hanno complessivamente raggiunto 15,1 milioni di cittadini.

La situazione, da qualche mese, è in lento miglioramento; e lo stesso ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha guardato già all’autunno, quando dovrà essere pronta la riforma degli ammortizzatori sociali («siamo all’ultimo miglio», ha detto ieri). Lo sblocco selettivo dei licenziamenti, dal 1° luglio, «va nella direzione di accompagnare il processo di ripresa», ha aggiunto il titolare del Lavoro, ricordando che «oltre 1,2 milioni di imprese, il 43%, non ha mai usufruito della Cig, mentre il 18%, 227 mila, vi ha fatto ricorso solo nella fase più severa del lockdown e il 17% ha avuto qualche trascinamento esauritosi nel 2020. Il residuo 22%, 288 mila aziende, che rappresentano il 26% dell’occupazione faceva ancora ricorso alla Cig a inizio 2021, poi ci sono imprese dei settori e filiere più impattate, molte impegnate in riconversioni».

Il numero uno dell’Inps è tornato nuovamente sul salario minimo legale, sostenendo che tra gli 8 e i 9 euro orari possa rappresentare «non solo una misura di contrasto alla povertà ma anche e soprattutto un fattore di crescita per altri indicatori di mercato». I lavoratori sotto questa soglia sarebbero compresi tra il 14% e il 26% del totale, ovvero tra i 2 e i 4 milioni circa. - ha chiosato Tridico -. E la misura avrebbe effetti positivi sulla finanza pubblica, con un aumento del gettito di circa 3 miliardi nell’ipotesi di un salario minimo di 9 euro lordi» (l’intervento trova però la contrarietà di tutte le parti sociali, e comporta sicuri costi extra per le imprese).

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