Previdenza

Ocse, allarme pensioni: da uscite a soli 61,8 anni si salirà in futuro a 71

di Marco Rogari

Una forbice di oltre 9 anni. È quella che divide chi va in pensione oggi dai giovani che stanno accedendo al mercato dal lavoro: i primi hanno la possibilità di uscire con un'età media di 61,8 anni, più bassa di 1,3 anni della media Ocse, grazie a canali “agevolati” come Quota 100 o Opzione donna; mentre i secondi, per effetto dell’adeguamento dei requisiti all'aspettativa di vita, potranno prendere la via del pensionamento soltanto al raggiungimento della soglia anagrafica “media” dei 71 anni. Che a quel punto risulterà la più elevata dopo quella della Danimarca (74 anni), oltre che della media dell’area Ocse stimata a 66 anni, e allineata solo a quella di Estonia e Paesi Bassi. Con l’aggravante per il nostro Paese di una pesante incidenza della spesa previdenziale sul Pil, pari nel complesso al 16,8% nel 2017 (15,4% nel 2019 quella pensionistica, la seconda nel bacino Ocse), e di un altrettanto pesante carico in termini di contributi previdenziali. A fotografare il quasi paradossale passaggio dai “pensionati più giovani” a quelli “più anziani” nell’arco di alcuni decenni è il rapporto “Pensions at a Grance 2021” dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che analizza i sistemi pensionistici dei 38 Paesi Ocse e di alcuni Paesi del G20.

Come già in passato, nel mirino del report sono finiti gli squilibri causati dal rapido invecchiamento della popolazione. In Italia «Nel 2050 ci saranno 74 persone di età pari o superiore a 65 anni ogni 100 persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni, il che equivale a uno dei rapporti più alti dell’Ocse», si legge nel rapporto. Che punta l’indice contro le numerose deroghe alla riforma Fornero (e provvedimenti precedenti) introdotte negli ultimi anni per favorire i pensionamenti anticipati. Come Quota 100, sostituita nel 2022 da governo Draghi con Quota 102, che «ha facilitato l’accesso ai diritti pensionistici, poiché – si fa notare - in precedenza il pensionamento anticipato era subordinato al requisito di contribuzioni record di 42,8 anni per gli uomini e di 41,8 anni per le donne». E a questo proposito l’Ocse sottolinea che «oltre all’Italia, solo la Spagna permette di accedere ai pieni diritti pensionistici prima dell’età pensionabile legale con meno di 40 anni di contributi, con il Belgio che richiede 42 anni, la Francia 41,5 anni e la Germania 45 anni».

Ma nel rapporto si citano anche altri canali di uscita anticipati, come quello per i lavoratori interamente contributivi con 64 anni d'età e 20 di contribuzione, l’Ape sociale (63 anni e 36 o 30 anni di versamenti) e la cosiddetta Opzione donna. Secondo l’Ocse, senza queste “scorciatoie” il sistema pensionistico italiano beneficerebbe di «una migliore trasparenza nel calcolo delle prestazioni su base contributiva e di un maggiore monitoraggio e gestione della solvibilità a lungo termine».

In ogni caso per dare una certa solidità anche nel lungo periodo all'impalcatura previdenziale resta prioritario un incremento dell’occupazione nelle età più adulte della popolazione. Anche se non sarà comunque facile eliminare le attuali diversità tra i vari trattamenti. Per i lavoratori autonomi, con aliquote contributive più basse di un terzo di quelle dei lavoratori privati, si prospetta ad esempio un futuro con assegni più bassi del 30% rispetto a quelli di un dipendente con lo stesso reddito imponibile per tutta la carriera, mentre la media Ocse è inferiore del 25%. Ma anche le donne con carriere discontinue o ridotte riceveranno trattamenti più “leggeri” del 27% rispetto a una lavoratrice a tempo pieno (la media Ocse è inferiore del 22%).

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