Rapporti di lavoro

No alla vaccinazione con qualche rischio anche al di fuori del settore sanitario

di M.Piz.

Esiste un obbligo di vaccinazione al di fuori del campo sanitario e, se no, è del tutto priva di conseguenze per il lavoratore di altri settori la scelta di dire no al vaccino?
Se ne è discusso ieri nei due convegni organizzati dall'Ispettorato nazionale del lavoro e dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro nell'ambito dell'edizione 2021 del Festival.

Lo scenario è stato tracciato nell'ambito del webinar dell'Inl da Paolo Pascucci, ordinario di Diritto del lavoro all'Università di Urbino, che ha ricordato anzitutto come, in base all'articolo 32 della Costituzione, nessuno possa essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Partendo dal presupposto che non ci sono dubbi sul fatto che la vaccinazione è un trattamento sanitario, per la duplice dimensione della salute, individuale e collettiva, e il conseguente rischio di contrasti, secondo il docente «appare più che ragionevole che la legge imponga l'obbligo».

In questo contesto non ci sono i presupposti per prefigurare come già esistente nel nostro ordinamento giuridico una norma che imponga l'obbligo in questione. Ad esempio, non l'articolo 2087 del Codice civile, in base al quale i lavoratori, come creditori dell'obbligo di sicurezza, devono cooperare per l'adempimento di tale obbligo: una cooperazione doverosa perché posta non solo nell'interesse del singolo lavoratore, ma di tutta la comunità aziendale. «Secondo me però – ha sottolineato Pascucci - si può seriamente dubitare che questo articolo possa essere tirato in causa perché, pur potendosi qualificare la disposizione come obbligo di prevenzione, il trattamento sanitario è in intima relazione con la sfera personalissima del lavoratore, assente nelle altre attività di prevenzione».

Per il docente non si trovano appigli neppure nell'articolo 20 del decreto legislativo 81/2008, secondo cui ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, né l'articolo 279 dello stesso Testo unico, relativo alla valutazione del rischio dei lavoratori esposti ad agenti biologici, che prevede la sottoposizione alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41 e la possibile adozione di misure protettive, fra cui la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente.

Serve quindi una specifica disposizione di legge, dalla cui mancanza, tuttavia, non si deve dedurre che la mancata vaccinazione non comporti conseguenze per il lavoratore che la rifiuta, a condizione, ovviamente, che i vaccini siano disponibili. Proprio l'articolo 279 – secondo il docente - delinea un modello regolativo nel caso in cui non si intenda vaccinarsi. In questa situazione, infatti, non si potrà non prevedere l'attivazione della sorveglianza sanitaria istituita dall'articolo 41 del Dlgs 81/2008 almeno una volta all'anno, ma con la possibilità di modificare la cadenza per la visita periodica da parte del medico competente, valutando a quel punto se il lavoratore sia idoneo ex articolo 42, con adibizione, in caso negativo e dove possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute: «un giudizio – ha spiegato Pascucci - che va espresso caso per caso, senza nessun pregiudizio».

Sennonché questa proposta interpretativa – secondo il docente - è complicata dal fatto che l'articolo 4 del Dl 44/2021 ha imposto per legge l'obbligo vaccinale ai sanitari, che potrebbe configurare una disparità di trattamento per i lavoratori non obbligati, i quali, in caso manchi la possibilità di spostamento a mansioni diverse, potrebbero essere licenziati per motivo oggettivo (e non “solo” sospesi senza retribuzione, come prevede l'articolo 4) facendo pagare di più i non obbligati. «In questo contesto - ha concluso - potrebbe allora essere opportuno un ritocco legislativo che non trascuri i problemi che affiorano negli altri settori produttivi in merito alla valutazione di idoneità».

La scelta di non vaccinarsi non è priva di riflessi neppure a livello di copertura infortunistica. «Nel caso di un soggetto che rifiuta il vaccino e viene spostato ad altra mansione – ha sottolineato il dirigente di ricerca dell'Inail e medico del lavoro Stefano Signorini - il riconoscimento d'infortunio avviene anche in questo caso, ma non opererà su presunzione semplice ma con valutazione del nesso causale. Sul renitente cade infatti la logica della presunzione semplice, preoccupante per il datore di lavoro».

Sul fatto che non si possano prevedere per i non obbligati oneri superiori a quelli previsti per il personale sanitario ha concordato anche il direttore centrale vigilanza dell'Ispettorato del lavoro, Orazio Parisi, il quale si è augurato che in sede di conversione del Dl 44/2021 trovino attuazione gli articoli 41 e 42 del Testo unico sulla sicurezza. Per Signorini, infine, in prospettiva futura, «come si è fatto un piano pandemico, nel testo unico bisognerà prevedere una flessibilità rispetto a questa topologia di rischi, riaggiornando il testo con quegli elementi a garanzia dei datori di lavoro che oggi si muovono con incertezze e difficoltà comprensibili».

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