Rapporti di lavoro

Google e Twitter riducono lo stipendio agli smartworker? Ecco perché in Italia non si può

Una strada non percorribile neanche in presenza di un accordo collettivo

di Marcello Floris

È comparsa recentemente la notizia che diverse multinazionali americane come Facebook, Twitter e Google abbiano introdotto una politica retributiva per la quale ai dipendenti che hanno deciso di continuare a lavorare dalla propria residenza, situata in aree dove il costo della vita è più basso, venga pagato un salario inferiore. Questa policy è applicata per ora solo ai dipendenti statunitensi, ed è collegata alla diffusione esponenziale del lavoro da remoto durante la pandemia. Alla ripresa dell’attività molti lavoratori hanno scelto di continuare a lavorare da remoto e Google per prima ha messo a punto uno strumento per calcolare la retribuzione di quello che noi chiamiamo smart working: il “work location tool” che calcola la retribuzione anche in base a fattori quali il costo della vita ed il mercato del lavoro locale.

Il contesto italiano

Viene da chiedersi cosa succederebbe se, come spesso capita, le società statunitensi decidessero di esportare il loro modello in Italia. Preliminarmente va detto che da noi la retribuzione non tiene conto di fattori quali il costo della vita nel luogo di residenza o il mercato del lavoro locale. In verità riesce anche difficile comprendere perché sotto il profilo giuridico e logico il compenso dovrebbe essere parametrato a fattori che nulla o poco hanno a che vedere con la prestazione lavorativa richiesta al dipendente. Come è noto, in Italia vige invece il principio di corrispettività della retribuzione la quale è appunto il controvalore dell’effettiva prestazione lavorativa data dal lavoratore.

L’articolo 36 della Costituzione stabilisce infatti che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Da qui il principio di irriducibilità della retribuzione. Pertanto il compenso va rapportato su elementi che sono intrinseci al rapporto di lavoro, quali: il settore di appartenenza del datore, il livello di capacità e l'esperienza del lavoratore, il suo livello di scolarità, il livello della retribuzione goduta in precedenza, la specializzazione ed il mercato del lavoro in quel determinato settore in cui si muovono i due contraenti, non a livello locale ma in generale. Peraltro, anche l’articolo 2103 del codice civile, da cui pure si desume il principio di irriducibilità della retribuzione, stabilisce tra l’altro che anche in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che, a determinate condizioni, consentono l’assegnazione del dipendente a mansioni inferiori, il trattamento economico debba rimanere il medesimo.

La giurisprudenza e l’applicazione dell’articolo 36 della Costituzione

La giurisprudenza ha sempre applicato in maniera rigorosa questo principio: «Il principio dell’irriducibilità della retribuzione, dettato dall’articolo 2103 c. c., implica che la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro e che ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto; tuttavia, in caso di legittimo esercizio, da parte del datore di lavoro, dello “ius variandi”, la garanzia della irriducibilità della retribuzione si estende alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedenti, ma non a quelle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa” (Cass. 19258 del 2019).

Pertanto, la retribuzione in Italia non può essere ridotta ad arbitrio o per decisione unilaterale del datore di lavoro: può essere ridotta solo mediante accordo dei contraenti, oltretutto a fronte di un legittimo esercizio dello ius variandi, cioè della facoltà datoriale di variare i compiti lavorativi nell'ambito di mansioni equivalenti. Sono ammissibili i così detti accordi di dequalificazione di cui è invalso l’uso nella pratica, in cui, solo per evitare la soppressione di una posizione lavorativa ed il conseguente licenziamento, un dipendente volontariamente accetta l'attribuzione di mansioni inferiori ed una riduzione della retribuzione. Ne segue che l'introduzione di una policy come quella adottata da Google e da altre società simili, non sarebbe possibile in Italia, neppure tramite accordi collettivi che il singolo dipendente, ancorchè iscritto al sindacato ben potrebbe non accettare.

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