Rapporti di lavoro

Divario del 39% nei salari tra giovani e over 54

di Michela Finizio

Lo si può definire generation pay gap, divario retributivo generazionale. E si riassume bene in un dato: i giovani lavoratori under 30 sono pagati il 39% in meno dei colleghi a fine carriera (over 54), con una differenza di quasi 44 euro nella retribuzione media giornaliera, in leggera flessione negli ultimi anni. Questione di scatti di anzianità e curriculum, ma non solo.

A stipendi di ingresso per ovvi motivi più contenuti, si affianca un gap più strutturale: le giornate retribuite di un giovane nel 2021 sono state il 26% in meno di quelle di un dipendente senior, circa 183 giornate pro capite contro 248. Una forbice in aumento del 5,9% dal 2014 ad oggi, dietro cui si nasconde una maggiore precarietà e debolezza contrattuale, insieme a una crescete richiesta di flessibilità delle nuove generazioni.

Il pay gap tra generazioni

A dirlo è l’elaborazione dei dati Inps sul lavoro dipendente nel settore privato non agricolo dal 2014 al 2021, citati nell’ultima relazione annuale dell’istituto. Si tratta di divari consolidati, che nel tempo cambiano solo lievemente. Come se il mercato del lavoro in Italia restasse “ingessato” nella distanza generazionale tra colleghi under 30 e over 54.

«Il divario retributivo - spiega Francesco Seghezzi, presidente della fondazione Adapt - non stupisce: in Italia la crescita retributiva è principalmente legata all’anzianità aziendale. Inoltre, nei dati sono inclusi anche gli apprendisti, per i quali esiste un tetto nei salari e questo potrebbe influenzare la media».

La platea cresce, ma lavora meno

Nella platea sono inclusi tutti i lavoratori dipendenti, a tempo determinato, indeterminato oppure stagionali. In otto anni gli under 30 contrattualizzati risultano in aumento del 22,9%, mentre la crescita degli over 54 è ancor più marcata (+70,6%), complici gli effetti della riforma Fornero. Il risultato, comunque, è un luogo di lavoro sempre più in là con l’età: nel 2014 i lavoratori giovani erano il 57% in più rispetto ai colleghi più anziani, oggi sono solamente il 13% in più.

La maggiore precarietà e debolezza contrattuale dei giovani emerge dal trend delle giornate retribuite pro capite, sempre più sfavorevole nei confronti degli under 30. Il segretario confederale della Cisl, Giulio Romani, non ha dubbi: «La questione generazionale è un dato di fatto: i giovani si inseriscono in un mercato del lavoro oggi caratterizzato da una forte discontinuità. Si stimano 2,8 milioni di part-time involontari». Ma i segnali non sono tutti negativi, come sottolinea Seghezzi: «Su questi numeri incide anche la stagionalità, che “pesca” soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione. E poi il part-time, sempre più diffuso e richiesto. Anche all’80%, non per forza al 50 per cento. Negli anni è aumentata la quota di chi lavora mentre studia e vuole flessibilità».

In parallelo, anche grazie agli sgravi contributivi, il tasso di occupazione degli under 35 è aumentato, in particolare negli ultimi due anni, raggiungendo livelli più alti rispetto al pre-Covid. «Ma è come se alla dinamica quantitativa favorevole - commenta Seghezzi - non si affiancasse un miglioramento qualitativo dei contratti. Questi dati ancora una volta raccontano la discontinuità occupazionale, la precarietà dei più giovani». A sottolineare lo squilibrio è anche il segretario Cisl, ricordando che Istat ha stimato la presenza di 2 milioni di lavoratori irregolari, non tutti “interamente sommersi”: «Le ragioni dietro questo paradosso vanno indagate: aumenta il numero di lavoratori ma diminuiscono le giornate lavorate».

Il risultato, tra paga giornaliera e monte di ore lavorate, è una retribuzione media annua che per un under 30 si ferma a 12.238 euro. Mentre quella del collega più anziano risulta superiore di 14.900 euro. «Questi dati fanno riflettere ma si deve andare oltre le semplici medie, per capire non solo le cause ma, soprattutto, le modalità che questo fenomeno assume nel nostro tessuto economico. Temo vi siano aree o settori economici in cui il divario si allarga in modo più evidente, specie se si accompagna a processi di terziarizzazione verso catene di sub fornitura meno strutturate», afferma Pierangelo Albini, direttore dell’area Lavoro, Welfare e Capitale umano di Confindustria.

Passi fatti e riforme necessari

Fatto sta che, osservando il trend degli ultimi otto anni, sembra esserci un progressivo miglioramento nella retribuzione giornaliera degli under 30. A confermarlo sono anche gli ultimi dati di AlmaLaurea che certificano la crescita dei salari medi dei laureati italiani, a un anno dal titolo (tra i 22 e i 35 anni): i laureati dopo la triennale hanno dichiarato di guadagnare al mese mediamente 1.340 euro netti, 12 mesi dopo la fine degli studi, una cifra che rappresenta un deciso aumento rispetto ai 1.041 del 2013, il minimo degli ultimi 15 anni. Per chi ha preso anche il titolo magistrale biennale il progresso è stato da 1.082 ai 1.355 euro del 2021.

«Per correggere questi squilibri - continua Pierangelo Albini di Confindustria -le agevolazioni, i bonus o le decontribuzioni per i giovani non sono sufficienti. È necessario agire più in profondità: pensare politiche per la famiglia capaci di invertire il trend demografico e investire sulla scuola e sulla formazione. Migliorare l’orientamento scolastico e il funzionamento del mercato del lavoro. Sono le leve su cui agire se si vuole superare il paradosso del nostro mercato del lavoro: imprese, da un lato, che non trovano personale e giovani, dall’altro, che rifiutano proposte perché non giudicate all’altezza delle loro aspettative».

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